« Temps pour la Création 2022 » :
quelques échos d’Italie

Publié le : 30 septembre 2022

1° settembre – 4 ottobre
Il Tempo del Creato 2022 volge al termine.
Suor Annalisa Bini (Italia) ci condivide qualche riflessione.
Buona lettura !

1er septembre - 4 octobre
Le Temps pour la Création 2022 touche à sa fin.
Sœur Annalisa Bini (Italie) nous partage quelques réflexions.
Bonne lecture !

IN ITALIANO   ▪   EN FRANÇAIS


IN ITALIANO

Giardino o Zoo delle piante ?

Quando penso al creato – non so se capita anche a voi – lo colloco sempre fuori della città : la montagna, i boschi, il mare… Davanti a queste bellezze il nostro sguardo si fa contemplativo, quasi vedessimo la creazione nel momento in cui è uscita dalle mani del Creatore ; dimenticando che, spesso, ciò che vediamo è stato modellato in qualche modo dalla mano dell’uomo, che non sempre è distruttore, ma anche giardiniere.

Ma nelle città ? Dove trovare il creato ? È possibile pregare con le parole di san Francesco « Laudato si’… » ?

Durante le mie vacanze in questo mese di settembre ho visitato due città : Lucca (vicino Firenze) e Milano, che mi hanno mostrato due modi molto diversi di relazionarsi con il creato. Nella prima città ho visitato un orto botanico, una specie di zoo delle piante, frutto della cultura positivista del XIX sec., che classificava in maniera scientifica tutto (uomini, animali, elementi chimici, piante…).

Durante la visita ho fatto "il giro del mondo" :
dalle piante della montagna lucchese al cedro del Libano ;

dalla sequoia dell’America del nord...

...al koyamaki del Giappone ;

dai cactus messicani alle piante medicinali, semplici e umili, che possiamo coltivare nei nostri orti,
o maestose come il ginkgo biloba.

A Milano alcuni architetti di case e di paesaggi hanno riqualificato aree urbane, combinando un bel "matrimonio" fra grattacieli, acciaio, vetro e verde, acqua, alberi e fiori.

Risultato : un bosco verticale

e una biblioteca degli alberi ; un parco non solo da guardare esteriormente ma anche da vivere, con spazi per bambini, all’ombra di magnifici salici piangenti, ottimi per il fitness o per rilassarsi su comode chaises longues.

Obiettivo : generare biodiversità sul terrazzo di casa e nel parco, tenendo d’occhio la sostenibilità (non proprio raggiunta).

In una mattina assolata di settembre, mentre un gruppetto di persone faceva yoga, la gente andava a lavoro, i bambini giocavano e i cani saltellavano, mi sono seduta, ho pregato e ringraziato il Signore, perché ci sono ancora degli uomini che, forse inconsapevolmente, rispondono alla loro vocazione di giardinieri.

Suor Annalisa Bini
comunità di Ganghereto
Vicariato d’Italia


Come terra deserta, arida, senz’acqua.

Sono vissuta in campagna fino al mio ingresso nella vita religiosa e dopo una parentesi di vita trascorsa in centro città, dove il verde era il colore delle persiane e di qualche pianta in giro per la casa, da vent’anni mi trovo ancora in campagna, a Ganghereto.

La siccità di quest’anno è stata per me un’esperienza particolare, che mi ha permesso di sperimentare in modo nuovo la “compassione” verso i milioni di persone che la vivono quotidianamente e verso il creato che soffre anche a causa dei nostri stili di vita.

A Ganghereto l’acqua potabile di cui ci serviamo viene da un pozzo e questa estate ho avuto paura che finisse. Per annaffiare giardino e orto adoperiamo l’acqua piovana raccolta in una cisterna e questa era quasi finita già all’inizio dell’estate ; il lavoro di mesi sarebbe andato perduto se non ci fossero stati i nostri vicini a condividere l’acqua del loro pozzo con noi.

Non era la prima volta che vedevo la terra assetata, ma stavolta mi è parso di sentire la sete degli alberi. Non erano più sufficienti le raccomandazioni di non sprecare l’acqua, bisognava consumare di meno : meno docce, nonostante il caldo ; ri-utilizzo di alcune acque e così via. In altre latitudini, “siccità” significa carestia e fame, ma io sulla tavola ho avuto sempre di che mangiare. La globalizzazione, almeno per noi paesi ricchi, non è sempre un guaio !

Tutto è connesso. E in quei giorni così trascorsi mi sono sentita particolarmente connessa con chi non ha acqua e cibo ed è quindi più attento a non sprecare.

Passata la paura tutto è ritornato alla normalità. Ma qualcuno – noi, io – penserà a come fronteggiare la prossima siccità ? In Africa, altri, sono decisamente più avanti di noi.

Suor Annalisa Bini
comunità di Ganghereto
Vicariato d’Italia

Un articolo per riflettere :

«  Cambiò il deserto in distese d’acqua
e la terra arida in sorgenti d’acqua.
Là fece abitare gli affamati,
ed essi fondarono una città in cui abitare
 ».

È quanto leggiamo nel Salmo 106 (107). Una preghiera che trova un felice riscontro nella vita di un intrepido contadino burkinabé di nome Yacouba Sawadogo. A partire dagli anni Ottanta ha perfezionato e applicato con ottimi risultati alcune tecniche di agricoltura tradizionale tipiche della sua regione, recuperando numerose zone desertificate.
Ogni giorno, di buon mattino, i suoi amici e familiari lo trovano con il machete in mano, in cammino verso la sua foresta « Bangr-Raaga », che significa, in lingua mooré, « il mercato della conoscenza », un nome che riflette il suo desiderio di trasmettere le conoscenze acquisite negli anni a tutti coloro che intendono lottare contro la siccità. Estesa su una superficie di quasi 50 ettari, la foresta di Bangr-Raaga, situata a Gourga nei pressi della città di Ouahigouyà, contiene diverse specie di alberi e animali. Si tratta di uno dei tanti miracoli operati da questo anziano contadino di circa 70-75 anni. Sawadogo è riuscito ad arginare l’avanzata del deserto scavando pozzi, nel terreno inaridito, che concentrano acqua e sostanze nutritive. Si tratta di una tecnica ancestrale, chiamata « Zai » che era caduta in disuso : consiste nello scavare delle buche durante i circa otto mesi della stagione secca, riempite poi di foglie, di escrementi animali e di altri concimi che favoriscono non solo la nascita di piante ma anche il riprodursi delle termiti che, a loro volta, scavano piccole gallerie rendendo poroso il terreno. Per trattenere l’acqua piovana vengono anche eretti muri in pietra che costituiscono un ostacolo all’acqua formando delle piccole dighe.
All’inizio della sua attività, Sawadogo è stato spesso deriso, considerato « pazzo » e ha persino visto parte della sua foresta andare in fiamme. Ma non ha mai gettato la spugna. Nel tempo, le sue fatiche hanno cominciato a suscitare interesse e curiosità. Sawadogo ha condiviso così le sue conoscenze e ha ricevuto migliaia di visitatori anche da oltre confine organizzando corsi di formazione e aiutando molti contadini a rigenerare la loro terra seguendo le sue pratiche. Di conseguenza, decine di migliaia di ettari di terreni degradati sono stati riportati alla produttività in Burkina Faso e Niger. Oggi in queste riserve prosperano complessivamente oltre sessanta specie tra alberi e arbusti. Si tratta senza dubbio di una delle più diversificate aree forestali piantate e gestite nella macroregione saheliana.
Da giovane sembrava che Sawadogo avesse tutt’altra vocazione. Dopo essere andato in Mali, infatti, intraprese un’attività commerciale ma cambiò idea a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta quando i Paesi del Sahel furono colpiti da una lunga siccità. In quel momento Sawadogo si sentì in dovere di ritornare nella terra natia per contrastare il verdetto della natura. Da contadino, iniziò a confrontarsi con gli anziani del suo villaggio per studiare il modo migliore di rigenerare il terreno delle campagne e ripopolarle di piante, animali, coltivazioni e persone.
Nel 2010 Sawadogo – grazie al suo rivoluzionario progetto – è stato il protagonista di un documentario, "The man who stopped the desert" (= « L’uomo che ha fermato il deserto »). Inoltre, nel 2018, ha ricevuto il Right Livelihood Award, noto come Premio Nobel alternativo, « per aver trasformato un terreno arido in una foresta e per aver dimostrato come gli agricoltori possano rigenerare il suolo attraverso l’uso innovativo di conoscenze indigene e locali
 ».
Giulio Albanese (settembre 2020)

Per ulteriori approfondimenti : www.rivistamissioniconsolata.it


EN FRANÇAIS

Jardin ou Zoo de plantes ?

Quand je pense à la création – je ne sais pas si ça vous arrive aussi – je la place toujours en dehors de la ville : les montagnes, les forets, la mer... Devant ces beautés notre regard devient contemplatif, comme si nous voyions la création au moment où elle est sortie des mains du Créateur ; oubliant que, souvent, ce que nous voyons a été façonné en quelque sorte par la main de l’homme, qui n’est pas toujours un destructeur, mais aussi un jardinier.

Mais dans les villes ? Où trouver la création ? Est-il possible de prier avec les paroles de St. François « Laudato si ’... » ?

Pendant mes vacances de septembre, j’ai visité deux villes d’Italie : Lucca (près de Florence) et Milan, qui m’ont montré deux manières très différentes de se rapporter à la création. Dans la première ville j’ai visité un jardin botanique, une sorte de zoo de plantes, fruit de la culture positiviste du XIXe siècle, qui classait tout de manière scientifique (hommes, animaux, éléments chimiques, plantes…).

Lors de la visite j’ai fait "le tour du monde" :
des plantes de la région de Lucca au cèdre du Liban ;

du séquoia d’Amérique du Nord...

... au koyamaki du Japon ;

des cactus mexicains aux plantes médicinales, simples et humbles, que nous pouvons cultiver dans nos jardins,
ou majestueux comme le ginkgo biloba.

A Milan, certains architectes de maisons et de paysages ont réaménagé des espaces urbains, alliant un beau "mariage" entre gratte-ciel, acier, verre et verdure, eau, arbres et fleurs.

Résultat : une forêt verticale

et une bibliothèque d’arbres ; un parc non seulement à regarder de l’extérieur mais aussi à vivre, avec des espaces pour les enfants, à l’ombre de magnifiques saules pleureurs, excellent pour la remise en forme ou pour se détendre sur de confortables chaises longues.

Le but : générer de la biodiversité sur la terrasse de la maison et dans le parc, en gardant un œil sur le développement eco-soutenable (pas tout à fait atteint).

Par un matin ensoleillé de septembre, alors qu’un petit groupe de personnes faisait du yoga, les gens allaient travailler, les enfants jouaient et les chiens sautaient ici et là, je me suis assis, j’ai prié et j’ai remercié le Seigneur , car il y a encore des hommes qui, peut-être à leur insu, répondent à leur vocation de jardiniers.

Sœur Annalisa Bini
communauté de Ganghereto
Vicariat d’Italie


« Terre aride, altérée, sans eau ».

J’ai vécu à la campagne jusqu’à mon entrée dans la vie religieuse et après un intermède de vie passé en centre-ville, où le vert était la couleur des volets et de quelques plante d’appartement, depuis vingt ans je suis toujours à la campagne, précisément à Ganghereto.

La sécheresse de cette année a été pour moi une expérience particulière, qui m’a permis de vivre d’une manière nouvelle la "compassion" envers les millions de personnes qui la vivent régulièrement et envers la création dont elle souffre aussi de nos modes de vie .

A Ganghereto, l’eau potable que nous utilisons provient d’un puits et cet été j’avais peur que le puits s’épuise. Pour arroser le jardin et le potager, nous utilisons l’eau de pluie collectée dans une citerne et celle-ci était déjà presque terminée au début de l’été ; des mois de travail auraient été perdus si nos voisins n’avaient pas été là pour partager avec nous l’eau de leur puits.

Ce n’était pas la première fois que je voyais la terre assoiffée, mais cette fois j’ai cru ressentir la soif des arbres. Les recommandations de ne pas gaspiller l’eau ne suffisaient plus, il fallait consommer moins : moins de douches, malgré la chaleur ; réutilisation de certaines eaux, etc. Sous d’autres latitudes, "sécheresse" signifie famine, mais j’avais toujours quelque chose à manger sur la table. La mondialisation, du moins pour nous pays riches, n’est pas toujours un malheur !

Tout est lié. Et dans les jours qui se sont écoulés, je me suis senti particulièrement lié à ceux qui n’ont ni eau ni nourriture et sont donc plus attentifs à ne pas gaspiller.

Après la peur, tout est revenu à la normale. Mais est-ce que quelqu’un - nous, moi - réfléchira à la manière de faire face à la prochaine sécheresse ? En Afrique, d’autres sont loin devant nous.

Sœur Annalisa Bini
communauté de Ganghereto
Vicariat d’Italie

Un article pour réfléchir :

«  Il a changé le désert en étendues d’eau
et la terre aride en sources d’eau.
Il y fit habiter ceux qui avaient faim,
et ils fondèrent une ville pour y habiter
 ».

C’est ce que nous lisons dans le psaume 106 (107). Une prière qui trouve un écho heureux dans la vie d’un intrépide agriculteur burkinabé nommé Yacouba Sawadogo. Depuis les années 1980, il a perfectionné et appliqué, avec d’excellents résultats, certaines techniques agricoles traditionnelles typiques de sa région, récupérant de nombreuses zones désertiques.
Tous les jours, tôt le matin, ses amis et sa famille le retrouvent, machette en main, en route vers sa forêt "Bangr-Raaga", qui signifie, en langue mooré, "le marché du savoir", un nom qui reflète son désir de transmettre les connaissances qu’il a acquises au fil des ans à tous ceux qui souhaitent lutter contre la sécheresse. S’étendant sur une superficie de près de 50 hectares, la forêt de Bangr-Raaga, située à Gourga dans la commune pressfdà de Ouahigouyà, contienne différentes espèces d’arbres et d’animaux. C’est l’un des nombreux miracles accomplis par cet agriculteur âgé d’environ 70-75 ans. Sawadogo a réussi à endiguer l’avancée du désert en creusant des puits dans le sol desséché qui concentrent l’eau et les nutriments. Il s’agit d’une technique ancestrale, appelée zai, qui était tombée en désuétude : elle consiste à creuser des trous pendant les quelque huit mois de la saison sèche, qui sont ensuite remplis de feuilles, d’excréments d’animaux et d’autres engrais qui favorisent non seulement l’émergence des plantes mais aussi la reproduction des termites, qui, à leur tour, creusent de petits tunnels rendant le sol poreux. Pour retenir l’eau de pluie, des murs de pierre sont également érigés pour bloquer l’eau en formant de petits barrages.
Au début de son activité, Sawadogo a été souvent moqué, considéré comme "fou" et a même vu une partie de sa forêt partir en flammes. Mais il n’a jamais jeté l’éponge. Au fil du temps, ses travaux ont commencé à susciter l’intérêt et la curiosité. Sawadogo a ainsi partagé ses connaissances et reçu des milliers de visiteurs, y compris de l’autre côté de la frontière, organisant des cours de formation et aidant de nombreux agriculteurs à régénérer leurs terres en suivant ses pratiques. En conséquence, des dizaines de milliers d’hectares de terres dégradées ont retrouvé leur productivité au Burkina Faso et au Niger. Aujourd’hui, un total de plus de soixante espèces d’arbres et d’arbustes prospèrent dans ces réserves. Il s’agit sans aucun doute de l’une des zones forestières plantées et gérées les plus diversifiées de la macro-région sahélienne.
Jeune homme, Sawadogo semblait avoir une vocation différente. Après s’être rendu au Mali, en fait, il s’est lancé dans une entreprise commerciale, mais a changé d’avis au tournant des années 1970 et 1980, lorsque les pays du Sahel ont été frappés par une longue sécheresse. À ce moment-là, Sawadogo s’est senti obligé de retourner dans son pays pour contrer le verdict de la nature. En tant qu’agriculteur, il a commencé à discuter avec les anciens de son village de la meilleure façon de régénérer le sol de la campagne et de le repeupler avec des plantes, des animaux, des cultures et des personnes.
En 2010, Sawadogo - grâce à son projet révolutionnaire - a été la vedette d’un documentaire, L’homme qui a arrêté le désert. En outre, en 2018, il a reçu le Right Livelihood Award, connu sous le nom de prix Nobel alternatif, "pour avoir transformé une terre aride en forêt et pour avoir démontré comment les agriculteurs peuvent régénérer le sol grâce à l’utilisation innovante des connaissances indigènes et locales".

Giulio Albanese (septembre 2020)

Pour aller plus loin : www.rivistamissioniconsolata.it